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GIORNI E NUVOLE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 novembre 2007
 
di Silvio Soldini, con Margherita Buy, Antonio Albanese, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Teco Celio, Arnaldo Ninchi (Italia - Svizzera, 2007)
 

Dopo il tempo di L'ARIA SERENA DELL'OVEST, UN'ANIMA DIVISA IN DUE, LE ACROBATE, delicati mosaici, fatti di pudore ma anche di grande coerenza e sensibilità stilistica, ragnatele di legami simmetrici, mistici, spesso poetici fra personaggi, spensieratamente lombardi dapprima, sempre più segreti, quasi metafisici nel prosieguo della carriera del regista ticinese e milanese, venne il tempo (ed il grande successo) della dimensione satirica (la casalinga dimenticata all'autogrill…) ma sempre straniante di PANE E TULIPANI. Da allora, in modo più o meno cosciente, sembrerebbe che il cinema di Silvio Soldini non sia più stato lo stesso. Prima della delusione (commerciale) di un film nobile ma quasi eccessivamente dimostrativo nell'impegno di volersi riallacciare alle proprie tematiche come BRUCIO NEL VENTO, tratto dal romanzo di Agota Kristof, prima opera di derivazione letteraria del regista, girato nel Giura. Poi, nel recupero, a questo punto un po' forzato nella sua perdita di una spontaneità da sempre istintiva, di atmosfere più accattivanti, addirittura da commedia all'italiana di AGATA E LA TEMPESTA.


Nei suoi momenti spirituali ed ispirati come in quelli più progettuali la delicata introspezione del cinema di Soldini, la volontà di affinare la riflessione in un linguaggio conseguentemente sublimato costituiscono comunque e da sempre un'eccezione nel cinema italiano che sappiamo. Capace di trasformare il quotidiano dell'osservazione sociale in una serie di rinvii spirituali, svelati dall'intimo, dall'ansia esistenziale dei personaggi. E in questo senso, GIORNI E NUVOLE non contraddice di certo la regola. Come sempre nell'autore, è una donna l'elemento che si fa carico di condurre il film sulle proprie spalle, nel segno di una continuità, di una possibilità di risolvere positivamente, concretamente, gli incerti del destino. Ed è su pochi altri personaggi, qui un marito e una figlia, gli elementi sui quali si costruisce la riflessione: di un film giusto e necessario, che sa affrontare un tema vero e urgente come quello della disoccupazione. Meglio: di come la cancrena del sistema sociale ed economico si faccia progressivamente umana, di come il disagio che nasce nelle disfunzioni della società finisca per penetrare, frantumandolo, l'interno dell'individuo, della coppia, della famiglia.


Il piccolo industriale Antonio Albanese (quasi eccessivamente intristito, forse per contraddire la matrice comica dell'attore) ha perso da mesi il proprio lavoro; ma non osa confessarlo alla moglie. Sarà lei (una Margherita Buy che immancabilmente riesce ad indossare le sfumature più segrete dei propri personaggi) ad affrontare con un realismo sempre più sofferto una situazione e delle conseguenze che rifiuta, e non riesce invece ad accettare lo sconsolato e forse rinunciatario compagno. Itinerario che dalla costrizione degli spazi urbani (qui quelli di Genova) cosi spesso prediletti da Soldini, conduce ad altri condizionamenti, legati ai rapporti intimi, alle relazioni quasi metafisiche fra i personaggi: itinerari che gli dovrebbe essere assolutamente congeniali, e che invece gli riescono solo in parte. Nel timore, forse, di tranelli melodrammatici, nel desiderio di osservare con un certo distacco il crescendo emotivo della vicenda, il film è subito molto parlato, molto spiegato, fin troppo debitore nei confronti della vivacità sempre sensibile della Buy. Certo, sul filo di una visione sempre raffinata il film sconfina saggiamente dalla pulizia di uno spazio domestico sereno ed accogliente ai toni oscuri, oppressivi e soffocanti che traducono lo smarrimento dei protagonisti. Ma dello sfondo sono colte a lungo solo panoramiche sui tetti e la sopraelevata genovese; mentre quei dettagli minimi, ma estremamente rivelatori colti dall'ambiente che alimentano solitamente il cinema di Soldini qui sembrano sacrificati ad una progressione aneddotica anche prevedibile. Fino all'intuizione della bella sequenza finale, con la restauratrice ed il marito che si perdono nell'affresco, nella consolazione di una dimensione che sta loro attorno; e sulla quale una ipersensibilità espressiva come quella del regista avrebbe potuto già indagare.


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